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Rambo: l’ultima goccia (di sangue)

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Some people stand in the darkness
Afraid to step into the light
(sigla di Baywatch)

“Old man” sarà Liam Neeson

Rocky e Rambo.
Yin e Yang.
Due lati della stessa medaglia: il positivo e il negativo, l’ottimista e il pessimista.
Rocky è quello che insiste per combattere, contro tutto e tutti, contro ogni pronostico, e quando cade ha sempre la forza di rialzarsi.
Rambo è quello che non vuole combattere.
Non c’è motivo. Non ne vale la pena. Nessuna speranza.
Ma se lo si tira dentro a un combattimento… beh, non c’è modo di farlo cadere.
È sempre bello quando Sylvester Stallone ha voglia di fare Rocky: è la sua grinta che parla, la sua ostinazione a non darsi per vinto, il segnale che ha ancora qualcosa da dire.
È sospettoso invece quando ha voglia di fare Rambo: il quarto capitolo ci stava, bisognava in qualche modo chiudere la storia lasciata aperta dall’insoddisfacente terzo, ma il quinto?
Ci sono solo due motivi plausibili.
Il primo è economico: Rambo è l’unico altro personaggio che gli permette di farsi un film da solo, carta bianca o quasi, senza sbattersi troppo per cercare i finanziamenti e una distribuzione non umiliante. Anche un altro Expendables riuscirebbe a farlo senza troppe spiegazioni, ma dovrebbe fare gruppo con un’altra manciata di ego esigenti.
Il secondo è che ha qualcosa da dire. E Rambo che ha qualcosa da dire, di questi tempi, significa guai.
Sigla:

Rambo è tornato a casa, e fin qui ci siamo.
Ha 73 anni, e grazie al cielo si è dato una regolata al look.
Ok, i suoi 73 anni sono meglio dei 37 della maggior parte di noi, ma non è un buon motivo per insistere ad andare in giro con il capello lungo tirato a lucido da scarpe e la fascetta rossa da eroe dei cartoni animati. Per cui per fortuna non lo fa.
Ha il capello corto e imbiancato, il viso segnato da mille battaglie (ok, forse con chirurghi di Beverly Hills più che viet-cong), veste civile (da bovaro).
Gli è andata grassissima che i suoi gli abbiano lasciato una fattoria abbandonata con una quantità spropositata di ettari in Arizona, lui ci si è piazzato, ha dato un’aggiustata, ha trovato in qualche modo da campare senza troppo sbatti, passa le giornate a fare il cavallerizzo e a sistemarsi un bunker sotterraneo attrezzatissimo. Ti immagini che a uno come Rambo non freghi nulla tutto sommato di sopravvivere a un eventuale mega-attacco nucleare o a un mondo post-apocalittico, ma ti immagini anche che non sia nella sua natura quella di lasciarsi morire senza combattere fino all’ultimo, indipendentemente da chi cosa perché.
Ne sono successe, al Rambo, in questi anni.
Si è fatto una badante messicana.
È andato da un medico che gli ha dato delle medicine per starsene calmo.
Ha in giro per casa una ragazzina fresca maggiorenne, messicana pure lei, che lo chiama “zio John”.
E ora la suddetta ragazzina vuole andarsene in Messico a trovare il padre che l’aveva abbandonata.
E zio John le dice senza mezzi termini “Col piffero! Il Messico è pericoloso e pieno di gente violenta e irrecuperabile, tuo padre non ti vuole, è una persona di merda, è irrecuperabile, stai a casa”.

È una strada lunga.

Mettiamolo subito in chiaro: tutti quei bei discorsi che abbiamo fatto su Stallone sceneggiatore qua se ne vanno un po’ a puttane.
La trama è lineare, ma Sly a questo turno non c’ha voglia.
Ogni parte in cui lui non è in scena è imbarazzante, indistinguibile da un DTV medio di Dolph Lundgren sia come script che come cast.
Facile oggi paragonarlo con Taken, visto che ovviamente la trama consiste in lei che va in Messico lo stesso e, dopo circa sette minuti talmente imbarazzanti che sembrano un’ora e mezzo, viene rapita da un cartello di prostituzione.
Ma in realtà il film sembra comportarsi come se Taken non fosse mai esistito e fosse tutta una coincidenza, e non nel senso che lo scopiazza fischiettando, ma proprio nel senso che non riprende niente di specifico di Taken e torna invece direttamente all’atmosfera becera e monodimensionale dei vecchi sequel del Giustiziere della Notte.
Ora, io non ho letto altre recensioni, ma mi sono capitati alcuni titoli sott’occhio e ho capito che aria tira: qui il Messico, inteso come luogo in cui sono ambientate alcune scene del film da cui provengono alcuni personaggi, è una scusa.
È una scorciatoia, un’insegna con scritto “tana qualunque di generici cattivi” senza intenzione di approfondire né, purtroppo, i riflessi per rendersi conto di come su questo genere di semplificazioni oggi ci sia – e ci dovrebbe essere – più attenzione del solito.
Si potrebbe aprire tutta una parentesi sul rapporto tra Sly e la politica, argomento in cui per la cronaca lui si è sempre sentito strumentalizzato e ha espresso valori spesso insospettabilmente contrastanti (grande supporto ai veterani di guerra ma anche esplicito sostegno al gun control), ma si finirebbe in un ginepraio infinito di sfumature senza via d’uscita.
L’unica certezza è questa: se in una recensione leggete che Rambo: Last Blood è brutto, purtroppo, è comprensibile/legittimo.
Quasi qualsiasi cosa in questo film che non riguarda Rambo in persona è sinceramente indifendibile.
Mediocre, frettolosa, superficiale.
Magari di fianco alle parti peggiori di Over the Top non sfigurerebbe, e Sly ha sicuramente in generale partecipato a progetti ben peggiori (non devo manco stare a dirvi quali), però questo è uno dei suoi due personaggi di punta, e il distacco con la cura riservata al freschissimo Creed 2 è troppo vertiginoso per non notarlo.
Ma se leggete l’aggettivo “vergognoso”, state (relativamente) tranquilli: è politica. Giustificato o non giustificato lo lascio decidere silenziosamente alla vostra coscienza, ma quello è.
Non è comunque la prima volta che capita, a Rambo, anzi. Fa eccezione forse solo quella volta che c’era in ballo la Birmania, troppo lontana ed esotica per far rumore.

Non uno Spietato qualunque

Le scene invece che riguardano Rambo personaggio, per fortuna, sono tutto un altro discorso.
Innanzitutto: chi si aspettava Gli spietati, o “Old Man Rambo” nel senso del rapporto fra un guerriero stanco e la vecchiaia o cose del genere, è fuori strada.
Rambo è vecchio, ha il capello corto e bianco e prende le medicine, ma non è stanco.
La vecchiaia per lui è solo un numero, un quantificatore di esperienza, di troppe, estenuanti volte in cui ha visto le stesse situazioni ripetersi e il cuore nero degli uomini non cambiare.
Quando la ragazzina che lo chiama “zio John” decide di andare in Messico contro il suo consiglio altrimenti la trama non porta da nessuna parte, Rambo getta le medicine ed entra in azione.
E Stallone, a 73 anni, non è un vecchiettino fragile e rognoso alla Eastwood.
Nossignore: Stallone, a 73 anni, è ancora grosso come un fottuto armadio e minaccioso come il tuo peggiore incubo.
L’ultimo Rocky lasciava intravedere un po’ di fragilità, ma Rambo no.
Stallone è tirato da far spavento, e se provasse a giocarsi la carta della fragilità, degli acciacchi, sarebbe una presa per il culo.
Rambo si avvicina a una persona da imbruttire, gli sbatte il grugno a due centimetri dalla fazza, gli sussurra due cose, sbatte la mano sul tavolo e tu spettatore scavalchi la fase di rispetto e ammirazione e ti caghi direttamente addosso.
A 73 anni Rambo minaccia un’intera gang di trafficanti di schiave e tu non ne dubiti per mezzo secondo.
Al suo confronto, Dwayne Johnson pare Tom Holland.
E se pensate che uno come lui si accontenti di tirare manate sul tavolo ovviamente si sbagliate: stavolta Sly ha carta bianca ancor più che col capitolo precedente, e il gore va subito a mille.
Alla prima scena in cui Rambo decide di passare ai fatti, ve lo giuro, non scherzo e stavolta signora mia non credo alle coincidenze, un tizio in sala da me si è alzato e se n’è andato.
Capite?
Non era una proiezione stampa. Era una proiezione pubblica, piena di gente che stava guardando un film di Rambo perché aveva voglia di vedere un film di Rambo. E alla prima occasione il livello di violenza si dimostra subito di una tacca superiore rispetto ai capitoli precedenti, e qualcuno non ha retto.

Freddy Krueger? Un dilettante.

Ci si mette un po’ a capire perché Sly abbia voluto fare un nuovo film, ma quando ingrana il massacro finale gli si perdona tutto.
Quando ingrana il massacro finale, Sly sembra dare sfogo a tutto quanto aveva trattenuto nei film precedenti, forse in tutta la carriera: non è più un action, è un horror. È un cazzo di slasher in cui poter tifare apertamente per il killer. Sono dieci minuti abbondanti di montaggio incalzante di morti una più cruenta e spettacolare dell’altra, come se qualcuno si fosse ripassato l’intera saga di Venerdì 13 e ne avesse condensato gli omicidi migliori in un’unica travolgente compilation – facendo nel frattempo il miglior uso dei Doors dai tempi di Apocalypse Now.
A confronto, John Wick è un Terence Hill dell‘85.
Quando Rambo si trova solo davanti alla final girl al final boss, capisci infine che il succo del discorso era tutto lì, che quello era il momento su cui Sly ha voluto appoggiare l’intera operazione, in cui sintetizzare il messaggio, il grido di dolore di cui Rambo si è fatto simbolo e portavoce, a nome di tutte le vendette del mondo.
Rocky è la grinta e la speranza.
Rambo è colui che sacrifica l’anima per i nostri peccati.
“Vergognoso”.
Ma sì. Si farà carico anche di quello, se aiuta a farci stare meglio.

Dvd-quote:

“A confronto, Dwayne Johnson pare Tom Holland”
Nanni Cobretti, i400calci.com

>> IMDb | Trailer

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